Non si paga il canone speciale Rai per il solo possesso di un pc L’azienda ha chiarito che la lettera inviata dalla Direzione Abbonamenti si riferisce al canone speciale dovuto se i computer sono usati come televisori / REDAZIONE share / Mercoledì 22 febbraio 2012 stampa invia La Rai non ha mai richiesto il pagamento del canone speciale per il “mero possesso del personale computer”. È quanto ha precisato l’azienda ieri, mediante una nota ufficiale, al termine di un confronto con il Ministero dello Sviluppo economico, aggiungendo che “la lettera inviata dalla Direzione Abbonamenti si riferisce al canone speciale dovuto nel caso in cui i computer siano utilizzati come televisori, fermo restando che il canone speciale non va corrisposto nel caso in cui tali imprese, società ed enti” abbiano già pagato per il possesso di una o più tv.

A tal proposito, si ricorda che l’invito a sottoscrivere l’abbonamento speciale Rai, recapitato nei giorni scorsi a molti soggetti, aveva suscitato non poche polemiche.
Infatti, dallo spot mandato in onda, sembrava che i destinatari dell’obbligo fossero solo coloro che, in qualche modo, potessero divulgare le trasmissioni televisive, mentre, nei fatti, la richiesta pareva rivolta a chiunque disponesse di un apparecchio atto o adattabile alla ricezione delle trasmissioni radiotelevisive.
Sulla base dell’analisi normativa in materia, il canone speciale potrebbe però essere richiesto solo con riferimento a soggetti in grado di porre in essere audizioni in locali pubblici o aperti al pubblico (si veda “Canone speciale Rai solo per chi compie «audizioni in luogo pubblico»” di ieri, 21 febbraio 2012).

Partendo dal presupposto che, per ciò che concerne i personal computer, il canone sia dovuto solo se essi vengono usati come televisori, la Rai ha poi precisato che ciò “limita il campo di applicazione del tributo a un’utilizzazione molto specifica del computer rispetto a quanto previsto in altri Paesi europei per i loro broadcaster (Bbc), che, nella richiesta del canone, hanno inserito tra gli apparecchi atti o adattabili alla ricezione radiotelevisiva, oltre alla televisione, il possesso dei computer collegati alla rete, i tablet e gli smartphone”.

Canone limitato a un’utilizzazione molto specifica del computer Se, al momento, non sembrerebbe previsto l’invio di una lettera “riparatoria” a professionisti e imprenditori, soddisfazione è stata espressa ieri sia dalle associazioni di consumatori, sia da rappresentanti del mondo imprenditoriale.

Anche l’ANC – Associazione Nazionale Commercialisti ha commentato la richiesta di pagamento, poi chiarita dalla Rai: “Il dettato normativo di riferimento, che è il RDL del 1938 – ha dichiarato il presidente Giuseppe Pozzato – non è cambiato e a questo non si è aggiunta alcuna nuova interpretazione”. Per questo motivo, l’ANC ha denunciato “l’urgenza di chiarimenti da parte dell’Agenzia delle Entrate e dei Ministeri competenti”.


 
Studi di settore, onere della prova sempre a carico dell’Ufficio Per i giudici di legittimità, resta ferma la ratio della pronuncia delle Sezioni Unite del 2009 / Carlo NOCERA share / Martedì 14 febbraio 2012 stampa invia La Corte di Cassazione interviene nuovamente, con la recente sentenza n. 1864/2012, depositata lo scorso 8 febbraio a cura della sesta sezione civile – la cosiddetta sezione “filtro” –, in materia di studi di settore, rafforzando il principio sancito dalla sentenza delle Sezioni Unite del 2009, la n. 26635, secondo il quale gli studi di settore non sono suscettibili di generare presunzioni dotate dei requisiti di gravità, precisione e concordanza.

La questione investe un accertamento fondato sui parametri accertativi, concernente il periodo d’imposta 1996, che vedeva il contribuente ricorrere per Cassazione avverso la decisione sfavorevole della C.T. Reg. del Lazio (sentenza n. 287/14/2009 del 15 luglio 2009): decisione, quella dei giudici regionali, che si fondava sulla ritenuta legittimità e congruità dei parametri accertativi e alla stregua dell’inconcludenza del contribuente in termini di onere probatorio.

Peraltro, la relazione depositata sul ricorso evidenziava, tra gli altri argomenti, l’inammissibilità dello stesso, tanto in ragione delle censure, che apparivano mosse all’accertamento impugnato e non alla decisione d’appello, quanto per il fatto che le stesse non aggredivano specificamente la ratio della decisione impugnata, la quale aveva valorizzato la circostanza che il contribuente non aveva prodotto prove idonee a superare e a vincere la prova presuntiva offerta dai coefficienti parametrici: da cui la richiesta di rigetto del ricorso per inammissibilità dei motivi o per manifesta infondatezza.

La sezione ha invece deciso per l’accoglimento del ricorso del contribuente, ribadendo che la procedura di accertamento tributario “standardizzato”, mediante l’applicazione dei parametri o degli studi di settore, costituisce un sistema di presunzioni semplici, la cui gravità, precisione e concordanza non è ex lege determinata dallo scostamento del reddito dichiarato rispetto agli standards in sé considerati: affermando nuovamente, in sostanza, che alcuna significatività può derivare automaticamente dalle risultanze matematico-statistiche (definiti “meri strumenti di ricostruzione per elaborazione statistica della normale redditività”).

Significatività che nasce, dunque, soltanto in esito al contraddittorio eventualmente svolto tra Ufficio e contribuente, il quale, tuttavia, non è nemmeno suscettibile di condizionare l’impugnabilità dell’accertamento, atteso che il Giudice tributario può liberamente valutare sia l’applicazione degli standard al caso concreto, da dimostrare a cura dell’Ufficio tanto in termini motivazionali quanto probatori, sia la controprova offerta dal contribuente che, al riguardo, non è nemmeno vincolato alle eccezioni eventualmente sollevate in ambito endoprocedimentale.
Tant’è che alcuna conseguenza può derivare a quest’ultimo nel caso in cui scelga di restare inerte nell’obbligatoria fase contraddittoria preventiva, atteso che ciò può certo costituire oggetto di motivazione dell’atto, a questo punto fondato sulla sola applicazione dello strumento matematico-statistico, ma non preclude affatto, o limita, alcuna azione difensiva da dispiegare dinanzi al giudice (che potrà, nel caso, valutare la mancata risposta all’invito nel complessivo quadro probatorio).

La prima mossa spetta all’Ufficio La Cassazione ha dunque accolto il ricorso del contribuente, tanto per effetto del principio affermato dalle Sezioni Unite quanto in considerazione del fatto che non sono state esplicitate considerazioni di sorta, a cura della controparte resistente, circa le ragioni idonee a superare le difese opposte in merito alle censure per le quali il reddito dichiarato risultava congruo in base ai parametri applicabili pro tempore.
Confermando, così, che se certamente alcuna delle parti in causa può vantare un’esimente in termini probatori, è altrettanto certo che, però, la prima mossa spetta all’Ufficio, la cui pretesa ben difficilmente potrà resistere in sede contenziosa se fondata esclusivamente sulle risultanze matematico-statistiche, ormai definitivamente acclarati quali semplici elementi indiziari (si veda anche Cassazione, sezione tributaria, ordinanza n. 29185/2011).


 
 
Agevolazioni ICI non confermate per l’IMU Con una nota del 24 gennaio, l’IFEL ha chiarito che l’IMU sperimentale non prevede trattamenti di favore per alcune fattispecie Con nota del 24 gennaio 2012, la Direzione scientifica dell’IFEL ha confermato che quasi tutte le agevolazioni valide per l’ICI, previste dalla legge o introdotte dai Comuni con norme regolamentari, non sono state ripresentate nell’ambito della disciplina dell’IMU (“sperimentale e “a regime”). In particolare l’IMU “sperimentale” di cui all’art. 13 del DL n. 201/2011 non prevede alcun trattamento di favore per le seguenti fattispecie:
- le abitazioni “assimilate” ai fini dell’ICI a quella principale del soggetto passivo, cioè le unità immobiliari abitative concesse dai contribuenti in uso gratuito (comodato) a propri parenti;
- i fabbricati storici o artistici (art. 10 del DLgs. n. 42/2004), per i quali l’art. 2, comma 5 del DL n. 16/1993 (convertito dalla L. n. 75/1993) aveva stabilito la determinazione della base imponibile ICI in misura agevolata;
- i fabbricati dichiarati inagibili o inabitabili e di fatto non utilizzati, per i quali la disciplina dell’ICI prevedeva la riduzione dell’imposta al 50% (art. 8, comma 1 del DLgs. n. 504/1992);
- le installazioni di impianti a fonte rinnovabile per la produzione di energia elettrica o termica per uso domestico, per le quali la disciplina dell’ICI attribuiva ai Comuni la potestà di stabilire un’aliquota agevolata (art. 6, comma 2-bis del DLgs. n. 504/1992);
- i fabbricati che, dichiarati inagibili o inabitabili, sono stati recuperati per essere destinati alle attività assistenziali di cui alla L. n. 104/1992 (soggetti disabili), per i quali la disciplina dell’ICI prevedeva l’esenzione (art. 7, comma 1, lett. g) del DLgs. n. 504/1992). 

Inoltre, i tecnici dell’IFEL confermano l’applicazione dell’IMU:
- in misura agevolata (aliquota del 2 per mille, riducibile all’1 per mille) per i fabbricati rurali strumentali (censiti alla categoria catastale D/10) di cui all’art. 9, comma 3-bis del DL n. 557/1993, compresi quindi i fabbricati destinati all’agriturismo, all’abitazione dei dipendenti agricoli e alla manipolazione, trasformazione, conservazione, valorizzazione o commercializzazione dei prodotti agricoli anche da parte delle società cooperative;
- in misura ordinaria (aliquota di base pari al 7,6 per mille) sia per le aree fabbricabili, i cui valori sono determinati con le medesime regole stabilite per l’ICI, sia per i terreni agricoli che i coltivatori diretti e gli imprenditori agricoli professionali (IAP) dovranno sottoporre a tassazione senza l’applicazione delle agevolazioni (franchigia e riduzioni d’imposta) previste invece in tema di ICI (art. 9 del DLgs. n. 504/1992).
Pertanto, a prescindere dalla potestà generale di cui all’art. 52, comma 1 del DLgs. n. 446/1997, secondo cui i Comuni possono regolamentare le proprie entrate anche tributarie “salvo per quanto attiene alla individuazione e definizione delle fattispecie imponibili, dei soggetti passivi e dell’aliquota massima dei singoli tributi”, dal 1° gennaio 2012 le abitazioni date in uso gratuito a parenti in linea retta o collaterale sono trattate come “altri” fabbricati, senza quindi applicazione dell’aliquota agevolata e/o della detrazione d’imposta (art. 59, comma 1, lett. e) del DLgs. n. 446/1997).

La disciplina dell’IMU non ha confermato neanche l’applicazione dell’agevolazione, rappresentata dalla riduzione dell’imposta del 50%, per i fabbricati dichiarati inagibili o inabitabili e di fatto non utilizzati, limitatamente al periodo dell’anno durante il quale sussistono le condizioni (cfr. C.M. n. 137 del 15 maggio 1997, risposta 20.1). L’inapplicabilità del beneficio in questione trova fondamento anche nell’abrogazione espressa dell’art. 59, comma 1, lett. h) del DLgs. n. 446/1997 (art. 13, comma 14, lett. b), del decreto Monti), secondo cui i Comuni potevano disciplinare le caratteristiche di fatiscenza sopravvenuta del fabbricato, non superabile con interventi di manutenzione, agli effetti della riduzione della relativa imposta dovuta. Ne discende che, in mancanza di una norma regolamentare di favore, i fabbricati diroccati, pericolanti od oggetto di ristrutturazione edilizia saranno tassati in misura ordinaria.  

Per le aree fabbricabili, infine, la base imponibile è costituita dal valore commerciale al 1° gennaio di ogni anno, tenendo conto dei seguenti parametri di valutazione: zona territoriale di ubicazione; indice di edificabilità; destinazione d’uso consentita; oneri per eventuali lavori di adattamento del terreno necessari per la costruzione; prezzi medi rilevati sul mercato dalla vendita di aree aventi analoghe caratteristiche. Per “area fabbricabile” s’intende quella utilizzabile a scopo edificatorio in base allo strumento urbanistico generale (PRG o PGT) adottato dal Comune. I Comuni possono determinare, periodicamente e per zone omogenee, i valori venali in comune commercio di tali aree. In caso di utilizzazione edificatoria dell’area, di demolizione di fabbricato, di interventi di restauro, risanamento conservativo, ristrutturazione edilizia e urbanistica, la base imponibile IMU è costituita dal valore dell’area, che è comunque considerata fabbricabile, senza computare il valore del fabbricato in corso d’opera, fino alla data di ultimazione dei lavori di costruzione, ricostruzione o ristrutturazione o, se antecedente, fino alla data in cui il fabbricato costruito, ricostruito o ristrutturato è comunque utilizzato.