Debiti fino a 20mila euro: 
Equitalia “snellisce” le procedure
Elevata da 5 a 20 mila euro la soglia di debito
per la quale è possibile richiedere la rateazione con una semplice richiesta che
attesta una temporanea difficoltà economica
 Equitalia, in considerazione del periodo di
difficoltà economica che attraversa il Paese, semplifica le procedure per
ottenere la rateizzazione dei debiti fino a 20mila euro.
Con la 
direttiva di
gruppo odierna vengono impartite istruzioni alle società partecipate per
agevolare i contribuenti che vogliono rateizzare il loro debito nei confronti
del Fisco.
Passa da 5mila a 20mila euro di debito la soglia entro la
quale è possibile ricorrere alla procedura agevolata. Per accedervi il
contribuente dovrà presentare solo una richiesta motivata da una temporanea
difficoltà economica, senza dover allegare alcuna documentazione comprovante le
sue affermazioni.
Anche il numero massimo di rate mensili concedibili, per i
debiti entro i 20mila euro, viene elevato a 48 mantenendo in 100 euro l’importo
minimo di ciascuna rata, salvo che per particolari situazioni di maggiore
difficoltà che verranno valutate di volta in volta.
Anche per le aziende
che attraversano un periodo critico vengono introdotte dalla stessa direttiva
importanti novità. L’indice alfa, che unitamente all’indice di liquidità,
rappresenta uno dei parametri per la concessione della rateazione, servirà ora
solamente per determinare il numero massimo di rate che possono essere
accordate.
 
Non si paga il canone speciale Rai per il solo possesso di un pc L’azienda ha chiarito che la lettera inviata dalla Direzione Abbonamenti si riferisce al canone speciale dovuto se i computer sono usati come televisori / REDAZIONE share / Mercoledì 22 febbraio 2012 stampa invia La Rai non ha mai richiesto il pagamento del canone speciale per il “mero possesso del personale computer”. È quanto ha precisato l’azienda ieri, mediante una nota ufficiale, al termine di un confronto con il Ministero dello Sviluppo economico, aggiungendo che “la lettera inviata dalla Direzione Abbonamenti si riferisce al canone speciale dovuto nel caso in cui i computer siano utilizzati come televisori, fermo restando che il canone speciale non va corrisposto nel caso in cui tali imprese, società ed enti” abbiano già pagato per il possesso di una o più tv.

A tal proposito, si ricorda che l’invito a sottoscrivere l’abbonamento speciale Rai, recapitato nei giorni scorsi a molti soggetti, aveva suscitato non poche polemiche.
Infatti, dallo spot mandato in onda, sembrava che i destinatari dell’obbligo fossero solo coloro che, in qualche modo, potessero divulgare le trasmissioni televisive, mentre, nei fatti, la richiesta pareva rivolta a chiunque disponesse di un apparecchio atto o adattabile alla ricezione delle trasmissioni radiotelevisive.
Sulla base dell’analisi normativa in materia, il canone speciale potrebbe però essere richiesto solo con riferimento a soggetti in grado di porre in essere audizioni in locali pubblici o aperti al pubblico (si veda “Canone speciale Rai solo per chi compie «audizioni in luogo pubblico»” di ieri, 21 febbraio 2012).

Partendo dal presupposto che, per ciò che concerne i personal computer, il canone sia dovuto solo se essi vengono usati come televisori, la Rai ha poi precisato che ciò “limita il campo di applicazione del tributo a un’utilizzazione molto specifica del computer rispetto a quanto previsto in altri Paesi europei per i loro broadcaster (Bbc), che, nella richiesta del canone, hanno inserito tra gli apparecchi atti o adattabili alla ricezione radiotelevisiva, oltre alla televisione, il possesso dei computer collegati alla rete, i tablet e gli smartphone”.

Canone limitato a un’utilizzazione molto specifica del computer Se, al momento, non sembrerebbe previsto l’invio di una lettera “riparatoria” a professionisti e imprenditori, soddisfazione è stata espressa ieri sia dalle associazioni di consumatori, sia da rappresentanti del mondo imprenditoriale.

Anche l’ANC – Associazione Nazionale Commercialisti ha commentato la richiesta di pagamento, poi chiarita dalla Rai: “Il dettato normativo di riferimento, che è il RDL del 1938 – ha dichiarato il presidente Giuseppe Pozzato – non è cambiato e a questo non si è aggiunta alcuna nuova interpretazione”. Per questo motivo, l’ANC ha denunciato “l’urgenza di chiarimenti da parte dell’Agenzia delle Entrate e dei Ministeri competenti”.


 
Studi di settore, onere della prova sempre a carico dell’Ufficio Per i giudici di legittimità, resta ferma la ratio della pronuncia delle Sezioni Unite del 2009 / Carlo NOCERA share / Martedì 14 febbraio 2012 stampa invia La Corte di Cassazione interviene nuovamente, con la recente sentenza n. 1864/2012, depositata lo scorso 8 febbraio a cura della sesta sezione civile – la cosiddetta sezione “filtro” –, in materia di studi di settore, rafforzando il principio sancito dalla sentenza delle Sezioni Unite del 2009, la n. 26635, secondo il quale gli studi di settore non sono suscettibili di generare presunzioni dotate dei requisiti di gravità, precisione e concordanza.

La questione investe un accertamento fondato sui parametri accertativi, concernente il periodo d’imposta 1996, che vedeva il contribuente ricorrere per Cassazione avverso la decisione sfavorevole della C.T. Reg. del Lazio (sentenza n. 287/14/2009 del 15 luglio 2009): decisione, quella dei giudici regionali, che si fondava sulla ritenuta legittimità e congruità dei parametri accertativi e alla stregua dell’inconcludenza del contribuente in termini di onere probatorio.

Peraltro, la relazione depositata sul ricorso evidenziava, tra gli altri argomenti, l’inammissibilità dello stesso, tanto in ragione delle censure, che apparivano mosse all’accertamento impugnato e non alla decisione d’appello, quanto per il fatto che le stesse non aggredivano specificamente la ratio della decisione impugnata, la quale aveva valorizzato la circostanza che il contribuente non aveva prodotto prove idonee a superare e a vincere la prova presuntiva offerta dai coefficienti parametrici: da cui la richiesta di rigetto del ricorso per inammissibilità dei motivi o per manifesta infondatezza.

La sezione ha invece deciso per l’accoglimento del ricorso del contribuente, ribadendo che la procedura di accertamento tributario “standardizzato”, mediante l’applicazione dei parametri o degli studi di settore, costituisce un sistema di presunzioni semplici, la cui gravità, precisione e concordanza non è ex lege determinata dallo scostamento del reddito dichiarato rispetto agli standards in sé considerati: affermando nuovamente, in sostanza, che alcuna significatività può derivare automaticamente dalle risultanze matematico-statistiche (definiti “meri strumenti di ricostruzione per elaborazione statistica della normale redditività”).

Significatività che nasce, dunque, soltanto in esito al contraddittorio eventualmente svolto tra Ufficio e contribuente, il quale, tuttavia, non è nemmeno suscettibile di condizionare l’impugnabilità dell’accertamento, atteso che il Giudice tributario può liberamente valutare sia l’applicazione degli standard al caso concreto, da dimostrare a cura dell’Ufficio tanto in termini motivazionali quanto probatori, sia la controprova offerta dal contribuente che, al riguardo, non è nemmeno vincolato alle eccezioni eventualmente sollevate in ambito endoprocedimentale.
Tant’è che alcuna conseguenza può derivare a quest’ultimo nel caso in cui scelga di restare inerte nell’obbligatoria fase contraddittoria preventiva, atteso che ciò può certo costituire oggetto di motivazione dell’atto, a questo punto fondato sulla sola applicazione dello strumento matematico-statistico, ma non preclude affatto, o limita, alcuna azione difensiva da dispiegare dinanzi al giudice (che potrà, nel caso, valutare la mancata risposta all’invito nel complessivo quadro probatorio).

La prima mossa spetta all’Ufficio La Cassazione ha dunque accolto il ricorso del contribuente, tanto per effetto del principio affermato dalle Sezioni Unite quanto in considerazione del fatto che non sono state esplicitate considerazioni di sorta, a cura della controparte resistente, circa le ragioni idonee a superare le difese opposte in merito alle censure per le quali il reddito dichiarato risultava congruo in base ai parametri applicabili pro tempore.
Confermando, così, che se certamente alcuna delle parti in causa può vantare un’esimente in termini probatori, è altrettanto certo che, però, la prima mossa spetta all’Ufficio, la cui pretesa ben difficilmente potrà resistere in sede contenziosa se fondata esclusivamente sulle risultanze matematico-statistiche, ormai definitivamente acclarati quali semplici elementi indiziari (si veda anche Cassazione, sezione tributaria, ordinanza n. 29185/2011).


 
 
Agevolazioni ICI non confermate per l’IMU Con una nota del 24 gennaio, l’IFEL ha chiarito che l’IMU sperimentale non prevede trattamenti di favore per alcune fattispecie Con nota del 24 gennaio 2012, la Direzione scientifica dell’IFEL ha confermato che quasi tutte le agevolazioni valide per l’ICI, previste dalla legge o introdotte dai Comuni con norme regolamentari, non sono state ripresentate nell’ambito della disciplina dell’IMU (“sperimentale e “a regime”). In particolare l’IMU “sperimentale” di cui all’art. 13 del DL n. 201/2011 non prevede alcun trattamento di favore per le seguenti fattispecie:
- le abitazioni “assimilate” ai fini dell’ICI a quella principale del soggetto passivo, cioè le unità immobiliari abitative concesse dai contribuenti in uso gratuito (comodato) a propri parenti;
- i fabbricati storici o artistici (art. 10 del DLgs. n. 42/2004), per i quali l’art. 2, comma 5 del DL n. 16/1993 (convertito dalla L. n. 75/1993) aveva stabilito la determinazione della base imponibile ICI in misura agevolata;
- i fabbricati dichiarati inagibili o inabitabili e di fatto non utilizzati, per i quali la disciplina dell’ICI prevedeva la riduzione dell’imposta al 50% (art. 8, comma 1 del DLgs. n. 504/1992);
- le installazioni di impianti a fonte rinnovabile per la produzione di energia elettrica o termica per uso domestico, per le quali la disciplina dell’ICI attribuiva ai Comuni la potestà di stabilire un’aliquota agevolata (art. 6, comma 2-bis del DLgs. n. 504/1992);
- i fabbricati che, dichiarati inagibili o inabitabili, sono stati recuperati per essere destinati alle attività assistenziali di cui alla L. n. 104/1992 (soggetti disabili), per i quali la disciplina dell’ICI prevedeva l’esenzione (art. 7, comma 1, lett. g) del DLgs. n. 504/1992). 

Inoltre, i tecnici dell’IFEL confermano l’applicazione dell’IMU:
- in misura agevolata (aliquota del 2 per mille, riducibile all’1 per mille) per i fabbricati rurali strumentali (censiti alla categoria catastale D/10) di cui all’art. 9, comma 3-bis del DL n. 557/1993, compresi quindi i fabbricati destinati all’agriturismo, all’abitazione dei dipendenti agricoli e alla manipolazione, trasformazione, conservazione, valorizzazione o commercializzazione dei prodotti agricoli anche da parte delle società cooperative;
- in misura ordinaria (aliquota di base pari al 7,6 per mille) sia per le aree fabbricabili, i cui valori sono determinati con le medesime regole stabilite per l’ICI, sia per i terreni agricoli che i coltivatori diretti e gli imprenditori agricoli professionali (IAP) dovranno sottoporre a tassazione senza l’applicazione delle agevolazioni (franchigia e riduzioni d’imposta) previste invece in tema di ICI (art. 9 del DLgs. n. 504/1992).
Pertanto, a prescindere dalla potestà generale di cui all’art. 52, comma 1 del DLgs. n. 446/1997, secondo cui i Comuni possono regolamentare le proprie entrate anche tributarie “salvo per quanto attiene alla individuazione e definizione delle fattispecie imponibili, dei soggetti passivi e dell’aliquota massima dei singoli tributi”, dal 1° gennaio 2012 le abitazioni date in uso gratuito a parenti in linea retta o collaterale sono trattate come “altri” fabbricati, senza quindi applicazione dell’aliquota agevolata e/o della detrazione d’imposta (art. 59, comma 1, lett. e) del DLgs. n. 446/1997).

La disciplina dell’IMU non ha confermato neanche l’applicazione dell’agevolazione, rappresentata dalla riduzione dell’imposta del 50%, per i fabbricati dichiarati inagibili o inabitabili e di fatto non utilizzati, limitatamente al periodo dell’anno durante il quale sussistono le condizioni (cfr. C.M. n. 137 del 15 maggio 1997, risposta 20.1). L’inapplicabilità del beneficio in questione trova fondamento anche nell’abrogazione espressa dell’art. 59, comma 1, lett. h) del DLgs. n. 446/1997 (art. 13, comma 14, lett. b), del decreto Monti), secondo cui i Comuni potevano disciplinare le caratteristiche di fatiscenza sopravvenuta del fabbricato, non superabile con interventi di manutenzione, agli effetti della riduzione della relativa imposta dovuta. Ne discende che, in mancanza di una norma regolamentare di favore, i fabbricati diroccati, pericolanti od oggetto di ristrutturazione edilizia saranno tassati in misura ordinaria.  

Per le aree fabbricabili, infine, la base imponibile è costituita dal valore commerciale al 1° gennaio di ogni anno, tenendo conto dei seguenti parametri di valutazione: zona territoriale di ubicazione; indice di edificabilità; destinazione d’uso consentita; oneri per eventuali lavori di adattamento del terreno necessari per la costruzione; prezzi medi rilevati sul mercato dalla vendita di aree aventi analoghe caratteristiche. Per “area fabbricabile” s’intende quella utilizzabile a scopo edificatorio in base allo strumento urbanistico generale (PRG o PGT) adottato dal Comune. I Comuni possono determinare, periodicamente e per zone omogenee, i valori venali in comune commercio di tali aree. In caso di utilizzazione edificatoria dell’area, di demolizione di fabbricato, di interventi di restauro, risanamento conservativo, ristrutturazione edilizia e urbanistica, la base imponibile IMU è costituita dal valore dell’area, che è comunque considerata fabbricabile, senza computare il valore del fabbricato in corso d’opera, fino alla data di ultimazione dei lavori di costruzione, ricostruzione o ristrutturazione o, se antecedente, fino alla data in cui il fabbricato costruito, ricostruito o ristrutturato è comunque utilizzato. 

 
Limitazioni all'uso del contante,
le novità del decreto Salva Italia. Approfondimento sulla nuova disposizione normativa: i paletti posti per scoraggiare gli escamotage studiati per dribblarla, come i pagamenti “opportunamente” frazionatiL’intervento legislativo decretato dal governo “Monti”, (come già evidenziato nell’articolo del 20 gennaio), ha posto un ulteriore limite all’importo di trasferimento di denaro contante o di libretti di deposito al portatore o di titoli al portatore, da 2.500 euro (articolo 2, Dl 138/2011) a mille euro (articolo 12 del Dl 201/2011 in vigore dal 6 dicembre 2011).
Il dettato normativo dell’articolo 49 del Dlgs 231/2007, integrato dal decreto “Salva Italia”, al comma 1, dunque, vieta “il trasferimento di denaro contante o di libretti di deposito bancari o postali al portatore o di titoli al portatore in euro o in valuta estera, effettuato a qualsiasi titolo tra soggetti diversi, quando il valore oggetto di trasferimento, e' complessivamente pari o superiore a euro mille” ….“anche quando e' effettuato con più pagamenti inferiori alla soglia che appaiono artificiosamente frazionati”.
 
Lo stesso decreto legislativo all’articolo 1, lettera m) definisce l’operazione frazionata come “un'operazione unitaria sotto il profilo economico, di valore pari o superiore ai limiti stabiliti dal presente decreto, posta in essere attraverso più operazioni, singolarmente inferiori ai predetti limiti, effettuate in momenti diversi ed in un circoscritto periodo di tempo fissato in sette giorni ferma restando la sussistenza dell'operazione frazionata quando ricorrano elementi per ritenerla tale”.
Con questa definizione il legislatore ha ripreso quanto già espresso dal parere del Consiglio di Stato 1504/1995, sezione III, richiamato tra l’altro nella circolare Mef 2/2012.
 
In particolare, secondo quanto sostenuto dal legislatore e nuovamente posto in evidenza nella recente circolare Mef, è sanzionabile l’ipotesi di cumulo di più trasferimenti, relativi alla medesima operazione, che superano il limite di mille euro quando espletati a scadenze preventivamente prestabilite con intento elusivo. In mancanza di un preciso limite temporale o quando non si può desumere da alcun elemento, si prende come riferimento un criterio oggettivo (sette giorni).
Diversa è la circostanza in cui i trasferimenti derivino da contratti preesistenti che prevedono pagamenti rateali facenti parte della normale prosecuzione di un’attività commerciale o da accordi contrattuali, in quanto mancando l’artificiosità dei passaggi di somme ingenti non vengono a crearsi i presupposti per la sussistenza delle violazioni.
 
Si evidenzia, altresì, che le operazioni di prelievo e/o di versamento di denaro contante uguali o superiori a mille euro non determinano automaticamente la configurazione di una violazione di cui all’articolo 49 del Dlgs 231/2007, se il soggetto che effettua le anzidette operazioni è sempre lo stesso e non avviene trasferimento a terzi, così come già tra l’altro evidenziato nella circolare Mef del 04 novembre 2011, e se non si concretizza la violazione della disposizione normativa.
 
I destinatari delle comunicazioni delle infrazioni
I soggetti preposti a dare notizia delle trasgressioni alla disposizione di legge dovranno preliminarmente valutare con ponderazione la singola clientela e, una volta constatata una violazione concreta della normativa, effettuare la comunicazione all’Amministrazione finanziaria o all’Uif, nel caso di sospetta operazione.
Tra i soggetti a cui indirizzare le predette comunicazioni, una novità che merita particolare rilievo, introdotta dall’articolo 12, comma 11, del decreto Monti, che ha integrato l’articolo 51, comma 1, del Dlgs 231/2007, è la presenza, per la prima volta, dell’Agenzia delle Entrate, oltre al Mef (Ragionerie territoriali competenti). Il nuovo comma 1 dell’articolo 51 recita così: “I destinatari del presente decreto che, in relazione ai loro compiti di servizio e nei limiti delle loro attribuzioni e attività, hanno notizia di infrazioni alle disposizioni di cui all'articolo 49, commi 1, 5, 6, 7, 12, 13 e 14, e all'articolo 50 ne riferiscono entro trenta giorni al Ministero dell'economia e delle finanze per la contestazione e gli altri adempimenti previsti dall'articolo 14 della legge 24 novembre 1981, n. 689 e per la immediata comunicazione della infrazione anche alla Agenzia delle entrate che attiva i conseguenti controlli di natura fiscale”.
 
Pertanto, l’Agenzia delle Entrate, dal 1° gennaio 2012, in quanto destinataria di immediata comunicazione dell’infrazione, avrà a sua disposizione un prezioso patrimonio informativo utile a individuare i contribuenti a più alto rischio di evasione e, di conseguenza, attivare i relativi controlli fiscali.
 
Nuove srl «semplificate» per i giovani Il pacchetto di liberalizzazioni prevede, per gli under 35, srl con scrittura privata e capitale minimo simbolico .
Nel Decreto sulle liberalizzazioni, approvato dal Consiglio dei Ministri, è prevista anche una norma che consente l’accesso dei giovani alla costituzione di società a responsabilità limitata con un regime agevolato in punto formalità di costituzione e ammontare del capitale sociale.
Lo stabilirebbe, in particolare, l’art. 3 della bozza che modificherà il codice civile inserendo una nuova disposizione, l’art. 2463-bis, dopo l’art. 2463 c.c. che regola la costituzione delle srl.

La nuova norma è essenzialmente tesa a favorire l’iniziativa imprenditoriale dei più giovani e meno abbienti, ai quali si consente di partecipare a strutture associative mediante l’eliminazione di quei paletti che hanno rappresentato finora, per le società di capitali, un grave ostacolo.
La bozza prevede, da un lato, l’introduzione di norme “ad hoc” che caratterizzeranno tale nuova forma societaria e, dall’altro, l’applicazione delle regole tipiche delle srl.

Passando alle regole specifiche, una “società semplificata a responsabilità limitata” può essere costituita con contratto o con atto unilaterale. Quindi, spazio anche alle srl semplificate unipersonali, con un socio unico.
Possono costituire, però, tali società solo persone fisiche.
L’accesso per le srl semplificate – secondo quanto previsto dalla bozza – è limitato a tutti coloro che non hanno ancora compiuto i 35 anni di età alla data della costituzione. Non solo: i requisiti soggettivi dei soci devono sussistere anche durante tutta la durata della società.
Quid iuris allora nel caso di raggiungimento dei 35 anni? Nel caso di perdita del requisito di età in capo ad un solo socio, l’assemblea (convocata dagli amministratori senza indugio) può deliberare la trasformazione della società. Diversamente, il socio è escluso di diritto.
Nell’ipotesi, invece, di perdita del requisito d’età da parte di tutti i soci, l’unica scelta è fra trasformazione o scioglimento della società ai sensi dell’art. 2484 c.c..

Niente atto pubblico, un’opportunità per i commercialisti Per quanto riguarda, inoltre, la costituzione della società, niente atto pubblico, basterà una scrittura privata.
Si tratta evidentemente di una buona opportunità per i professionisti, fra cui i dottori commercialisti, che potranno così affiancarsi ai privati nella costituzione delle srl semplificate.
Scrittura privata anche per il verbale relativo alle modificazioni dell’atto costitutivo deliberate dall’assemblea dei soci e per l’atto di trasferimento delle partecipazioni.

Nell’atto costitutivo andranno indicati, in parte, alcuni riferimenti che l’art. 2463 c.c. richiede già per la costituzione delle srl: fra questi, ad esempio, cognome, nome, data, luogo di nascita, domicilio, cittadinanza di ciascun socio, attività che costituisce l’oggetto sociale, quota di partecipazione di ciascun socio, norme relative al funzionamento della società, persone cui è affidata l’amministrazione.
Si segnala, però, che nella denominazione sociale dovrà farsi riferimento specificatamente alla “società semplificata a responsabilità limitata”.
Inoltre, ai soci basterà fissare un capitale minimo di 1 euro, contro i 10mila euro previsti per la costituzione della srl ordinaria, sottoscritto e interamente versato alla data della costituzione. Naturalmente, non è esclusa la possibilità di prevedere un capitale sociale superiore.
La bozza prevede, poi, precise limitazioni per i conferimenti, che possono essere effettuati solo in denaro: esclusi, dunque, i conferimenti di beni, crediti o servizi.
Denominazione e ammontare del capitale, in particolare, andranno richiamati fra l’altro anche negli atti e nella corrispondenza della società.

L’atto va depositato per l’iscrizione a cura degli amministratori entro 15 giorni presso il Registro delle imprese nella cui circoscrizione è stabilita la sede sociale. La Comunicazione unica è esente da diritti di bollo e di segreteria. L’iscrizione, verificata la sussistenza di tutti i requisiti, dovrà seguire entro i 15 giorni successivi, pena l’ordine d’iscrizione con decreto da parte del giudice del Registro su richiesta degli amministratori.

Per la restante parte della disciplina, come anticipato, la bozza rinvia alle disposizioni sulle srl, di cui agli artt. 2462 e ss. in quanto compatibili (ad esempio, l’art. 2467 c.c. in tema di postergazione dei finanziamenti dei soci).

 
Limitazioni all'uso del contante,
le novità nel decreto Salva ItaliaTutti gli interventi del legislatore sulla soglia di tracciabilità dei pagamenti fino al Dl 201/2011 che, a partire dallo scorso 6 dicembre, ha abbassato il limite a mille euro.
Il limite all’uso del contante e dei titoli al portatore è stato introdotto con il Dl 143/1991 (legge di conversione 197/1991) al fine di contrastare il fenomeno dell’utilizzo del sistema finanziario a scopo di riciclaggio.
Negli ultimi anni la materia è stata oggetto di frequenti interventi legislativi, da ultimo il decreto cosiddetto “Salva Italia”. Difatti, il Dl 201/2011, con poche e mirate correzioni al dettato normativo del Dlgs 231/2007, ha ridotto il limite di tracciabilità dei pagamenti al valore di mille euro, con decorrenza dal 6 dicembre 2011.
Tuttavia, in sede di conversione, il legislatore ha previsto l’irrilevanza ai fini sanzionatori delle violazioni commesse nel periodo dal 6 dicembre 2011 al 31 gennaio 2012, riferite alle limitazioni di importo introdotte. Pertanto, per il periodo indicato, è pacifico ritenere sanzionabili i trasferimenti in violazione della precedente soglia limite.
 
Ultimi interventi normativi
Dal 29 aprile 2008, con l’entrata in vigore del Dlgs 231/2007 (emanato in attuazione della direttiva 2005/60/CE e della Direttiva 2006/70/CE), il limite all’uso del contante e dei titoli al portatore è stato ridotto da 12.500,00 a 5mila euro. La nuova soglia è rimasta in vigore per poco più di un anno, fino a quando il Dl 112/2008 ha ripristinato il limite di 12.500.00 euro.
Negli ultimi due anni il legislatore è intervenuto nuovamente sulla soglia di tracciabilità dei pagamenti. A partire dal 31 maggio 2010, il Dl 78/2010 ha riportato il valore a 5mila, cifra che è stata, poi, ridotta a 2.500,00 dal Dl 138/2011.
In ultimo, come già anticipato, il Dl 201/2011 ha indicato in mille euro il limite all’uso del contante e dei titoli al portatore, con decorrenza dal 6 dicembre 2011.
 
RIFERIMENTO NORMATIVOPERIODO DI VALIDITÀVARIAZIONE LIMITE (in Euro)
 Articolo 49, Dlgs 231/2007dal 30.04.2008da 12.500,00a 5.000,00Articolo 32, Dl 112/2008dal 25.06.2008da 5.000,00a 12.500,00Articolo 20, Dl 78/2010dal 31.05.2010da 12.500,00a 5.000,00Articolo 2, Dl 138/2011dal 13.08.2011da 5.000,00a 2.500,00Articolo 12, Dl 201/2011dal 06.12.2011da 2.500,00a 1.000,00 
Norma in vigore dal 6 dicembre 2011
La nuova formulazione dell’articolo 49, comma 1, del Dlgs 231/2007, a seguito delle modifiche introdotte dall’articolo 12 del Dl 201/2011, dispone che: “è vietato il trasferimento di denaro contante o di libretti di deposito bancari o postali al portatore o di titoli al portatore in euro o in valuta estera, effettuato a qualsiasi titolo tra soggetti diversi, quando il valore oggetto di trasferimento, è complessivamente pari o superiore a euro mille”.
Anche per quanto concerne il valore di emissione di assegni bancari e postali (articolo 49, comma 5) e di assegni circolari, vaglia postali e cambiari (articolo 49, commi 7 e 8), è posto lo stesso limite di mille euro superato il quale, è disposto l’obbligo di indicazione del nome (ovvero la ragione sociale) del beneficiario e della clausola di non trasferibilità.
Analoga limitazione è prevista per il saldo dei nuovi libretti di deposito bancari o postali al portatore (articolo 49, comma 12). Tuttavia, per i libretti già in essere alla data del 6 dicembre 2011 (articolo 49, comma 13), la norma prevede lo slittamento al 31 marzo 2012 del termine ultimo entro cui operare la loro estinzione ovvero la riduzione del saldo nei limiti dettati dal legislatore. In alternativa, nonostante la norma non lo preveda espressamente, sembra ragionevole la possibilità di ovviare a tale adempimento con la trasformazione degli stessi in libretti nominativi.
 
Sanzioni applicabili
L’articolo 58 del Dlgs 231/2007 accomuna le violazioni delle disposizioni afferenti all’uso del contante (articolo 49, comma 1) all’emissione di assegni bancari e postali (articolo 49, comma 5) ed assegni circolari, vaglia postali e cambiari (articolo 49, comma 7), sanzionandole in proporzione all’importo trasferito, da un minimo dell’1% a un massimo del 40 per cento.
Diversamente è stabilito per i libretti di deposito bancari o postali al portatore. In particolare, lo stesso articolo distingue i libretti di nuova emissione (articolo 49, comma 12) da quelli già in essere alla data di entrata in vigore del Dl 201/2011. Per i primi è prevista una sanzione dal 20% al 40% del saldo, in caso di superamento del limite indicato dal legislatore.
Per tali violazioni è previsto, inoltre, un importo minimo della sanzione (pari a 3mila euro), nonché un aggravio in caso di importi superiori a 50mila euro.
Limitazioni all'uso del contante e dei titoli al portatore
(Dlgs 231/2007, articolo 49)Dlgs 231/2007, Articolo 58 - comma 1, 2 e 7-bisImporto della violazione
da 1.000,00 euro a 50.000,00 euroImporto della violazione
superiore a 50.000,00 euroContanti
(articolo 49, comma 1)
dall’1% al 40%dell’importo trasferitodal 5% al 40%
dell’importo trasferitoAssegni bancari e postali
(Articolo 49, comma 5)
dall’1% al 40%
dell’importo trasferitodal 5% al 40%dell’importo trasferitoAssegni circolari, vaglia postali e cambiari (articolo 49, comma 7)dall’1% al 40%
dell’importo trasferitodal 5% al 40%
dell’importo trasferitoNuovi libretti di deposito al portatore (Articolo 49, comma 12)dal 20% al 40%
del saldodal 30% al 60%
del saldoSanzione minima per ogni violazione: euro 3.000,00 
Un regime sanzionatorio differente è invece previsto per i libretti al portatore con saldo pari o superiore a 1.000,00 euro già in essere alla data di entrata in vigore del decreto “Salva Italia” (articolo 49, comma 13). In particolare, il Dl 201/2011, oltre a posticipare al 31 marzo 2012 l’obbligo di operare la loro regolarizzazione, è intervenuto anche sull’importo minimo della sanzione applicabile alla violazione di tale obbligo.
Pertanto, non sono state apportate modifiche all’articolo 58 del Dlgs 231/2007, nella parte in cui prevede, per l’omessa estinzione dei suddetti libretti ovvero per la mancata riduzione del loro saldo entro i limiti stabiliti, una sanzione amministrativa pecuniaria dal 10% al 20% del saldo stesso, con un aggravio nel caso in cui quest’ultimo superi 50mila euro.
Oggetto di modifica è stato invece il comma 7-bis del suddetto articolo, nella parte in cui prevedeva un importo minimo della sanzione, pari a 3mila euro. I libretti con saldo inferiore a tale soglia erano pertanto sanzionati per un importo maggiore del saldo stesso.
Con l’introduzione del comma 1-bis dell’articolo 12 Dl 201/2011, il legislatore ha di fatto alleggerito solo il carico sanzionatorio dei libretti al portatore con saldo inferiore a 3mila euro, stabilendo una sanzione più equa della precedente, “pari al saldo del libretto stesso”.
Saldo del libretto al portatore già in essere al 06.12.2011(articolo 49, comma 13, Dlgs 231/2007)Violazioni ex articolo 58, commi 3 e 7-bis, Dlgs 231/2007ante articolo 12,
comma 1-bis, Dl 201/2011
post articolo 12,comma 1-bis, Dl 201/2011Da 1.000,00 euro
a 3.000,00 euro
Sempre 3.000,00 euroSaldo del libretto al portatoreDa 3.000,00 euro
a 50.000,00 euro
Dal 10% al 20% del saldo,
con un minimo di 3.000,00 euroDal 10% al 20% del saldo,
con un minimo di 3.000,00 euroSuperiore a 50.000,00 euroDal 15% al 30% del saldoDal 15% al 30% del saldo
Oblazione
L’articolo 60, comma 2, del Dlgs 231/2007, offre la possibilità di ricorrere all’istituto dell’oblazione (articolo 16 della legge 689/1981). Tuttavia, la sua applicazione è prevista esclusivamente per le violazioni delle disposizioni afferenti all’uso del contante (articolo 49, comma 1), degli assegni bancari e postali (articolo 49, comma 5) e degli assegni circolari, vaglia postali e cambiari (articolo 49, comma 7), di importo inferiore a 250mila euro.
A tal proposito, la circolare del ministero dell’Economia e delle Finanze n. 281178 del 5 agosto 2010 ha precisato che si ha la possibilità di pagare una sanzione pari al 2% dell’importo della violazione. In tal caso, non sembra rilevare la sanzione minima fissa di 3mila euro in quanto il dettato normativo e la circolare stessa non prevedono espressamente una sua eventuale applicazione.
 
Decreto Monti: dilazioni degli avvisi bonari con innovazioni retroattive «Salvi» i contribuenti che hanno pagato le rate con poco ritardo o che hanno omesso la prestazione della garanzia. In altra sede ci siamo soffermati sulle modifiche del “decreto Monti” in tema di dilazione degli avvisi bonari, ovvero degli avvisi che derivano da liquidazioni automatiche e controlli formali della dichiarazione.

Due sono le modifiche principali:
- ora, quale che sia l’importo delle rate, non è mai necessaria la prestazione della garanzia;
- se il contribuente versa tardivamente una rata successiva alla prima, la dilazione non è disconosciuta a patto che la rata sia versata entro il termine per il pagamento di quella successiva.

Per ciò che concerne la decorrenza, il DL 201/2011 stabilisce espressamente che le neointrodotte disposizioni “si applicano altresì alle rateazioni in corso alla data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto”.

L’assunto necessita di alcune precisazioni, siccome interessa una vasta gamma di contribuenti, i quali, per le più varie ragioni, si sono visti disconoscere le dilazioni.
Vediamo, nello specifico, in quali casi la dilazione poteva essere disconosciuta.

Si pensi alla fattispecie in cui il contribuente, avendo onorato puntualmente la prima rata e due rate successive, avesse pagato con un ritardo solo di alcuni giorni la quarta rata; si pensi al contribuente che, per disguidi nei rapporti con l’istituto di credito, abbia omesso di produrre la documentazione comprovante l’ottenimento della garanzia; ancora, si pensi al contribuente che abbia depositato tardivamente la garanzia o che abbia errato nel conteggio degli interessi da dilazione delle somme.

In queste ipotesi gli effetti erano molto pregiudizievoli: il contribuente si vedeva disconoscere l’intera dilazione e riceveva una cartella di pagamento con gli aggi di riscossione, le intere somme residue dovute a titolo di imposta, le sanzioni da omesso versamento nella misura piena (effetto tipico del disconoscimento della dilazione, visto che, pagando la prima rata entro i 30 giorni e mantenendo la dilazione, vi è la riduzione delle sanzioni a 1/3 o 2/3, a seconda dei casi).

Intangibili i rapporti giuridici “esauriti” Il concetto di “rateazioni in corso”, che costituisce la linea di demarcazione circa l’applicabilità della nuova disciplina, è, a nostro avviso, da intendersi in senso ampio: in altre parole, non solo le rateazioni in essere beneficiano della neointrodotta norma, ma anche quelle in riferimento alle quali è sorto un contenzioso. Se a seguito del tardivo versamento per pochi giorni di una rata, il contribuente si è visto recapitare una cartella di pagamento, la rateazione è stata disconosciuta, ma tale disconoscimento, se sono pendenti i 60 giorni o se il contenzioso non è ancora chiuso (quindi se non si è formato il giudicato), non è ancora definitivo.

Allora tali contribuenti possono, a seconda dello stato in cui si trova il procedimento, far valere lo ius superveniens: quindi occorrerà presentare una domanda di sgravio, un ricorso, una memoria, un appello e così via (dipende, come detto, dallo stadio del procedimento: se, ad esempio,  si è in prossimità della discussione, occorre una memoria).

Rimane un dubbio sull’irrogabilità della sanzione del 30% sulla rata non versata, stante il principio del favor rei, ma su ciò è bene attendere la prima giurisprudenza.

I contribuenti che non possono far valere la più favorevole normativa sono quelli i cui rapporti sono, dal punto di vista giuridico, “esauriti”: cartella non impugnata nei 60 giorni, sentenza di rigetto del ricorso passata in giudicato. Oppure quelli la cui condotta non rientra nel beneficio sopravvenuto, il che si verifica in ipotesi di omesso pagamento della prima rata o di versamento di una rata successiva alla prima oltre il termine di pagamento per quella successiva.

 
Ipoteca inibita se Equitalia concede la dilazione dei ruoli La soluzione contraria vanificherebbe la ratio del DL 112/2008, che ha eliminato la garanzia nelle dilazioni dei ruoli / Alfio CISSELLO share / Sabato 07 gennaio 2012 stampa invia Una questione molto sentita dai contribuenti concerne i nessi che possono intercorrere tra ipoteca esattoriale ex art. 77 del DPR 602/73 e dilazione delle somme iscritte a ruolo ex art. 19 del medesimo DPR.

Come noto, a suo tempo, il DL 112/2008, modificando l’art. 19 del DPR 602/73, aveva espunto la necessità di prestazione della garanzia in caso di dilazione dei ruoli e ciò a prescindere dall’entità delle rate da versare.

Tanto premesso, se non si coordina tale innovazione legislativa con l’altra ipoteca presente nel sistema, ovvero quella disciplinata dall’art. 77 richiamato, vi è il rischio di far entrare dalla porta ciò che il Legislatore, con il decreto del 2008, ha inteso far uscire dalla finestra.

In altri termini, occorre interrogarsi sulla sorte dell’ipoteca esattoriale nel caso di dilazione dei ruoli concessa, o meglio, nel caso di pagamento della prima rata del piano di dilazione ad opera del contribuente.

Succede che, a volte, l’Agente della Riscossione si rifiuti di richiedere la cancellazione dell’ipoteca antecedentemente iscritta sino al versamento dell’ultima rata del piano di differimento, il che significa anche per anni, posto che le rate possono arrivare a 72 mensili.

Ma vi è di più.
Accade addirittura che Equitalia iscriva l’ipoteca dopo aver accolto la domanda di dilazione, come è successo nel caso esaminato dal Tribunale di Milano (sezione Lavoro, siccome il credito tutelato era stato iscritto a ruolo dall’INPS) con la sentenza n. 6 del 10 gennaio 2011.

I giudici, con una sentenza esemplare, censurano il comportamento di Equitalia, sostenendo innanzitutto che “l’unica condizione necessaria per la concessione della rateazione è quindi soltanto la situazione di obiettiva difficoltà del contribuente e dunque prende in considerazione le sole condizioni soggettive del debitore”.

Nella sentenza viene anche richiamata la direttiva Equitalia 12 del 2008, la cui ratio sembra deporre nel senso della necessità della cancellazione dell’ipoteca dopo l’accoglimento della dilazione. Equitalia, infatti, sostiene che, una volta che il contribuente abbia pagato la prima rata, l’Agente della Riscossione deve rinunciare alle procedure esecutive già in corso e revocare il fermo antecedentemente disposto.

La direttiva 12/2008 sembra deporre a favore del contribuente Siccome la funzione del fermo è analoga a quella dell’ipoteca, va da sè, precisano i giudici, che pure l’ipoteca debba venire meno.
Invero, volendo adottare una tesi pro fisco, si potrebbe sostenere che il fermo, essendo un mezzo deterrente, vada revocato, ma l’ipoteca no in quanto preordinata all’espropriazione (la cui eventualità potrebbe riemergere qualora il contribuente decada dalla dilazione), ma ciò è nettamente contrario alla ratio legis, visto che il Legislatore, da un lato, ha espunto la necessità di ogni garanzia nella dilazione dei ruoli, dall’altro, ha tolto tale obbligo in tutti gli istituti deflativi del contenzioso, da ultimo con il DL 201/2011 in merito alla dilazione degli avvisi bonari.

Concludendo, i giudici ricordano che “l’iscrizione ipotecaria penalizza ulteriormente colui che chiede e rispetta la rateazione perchè, come è noto, l’iscrizione di ipoteca su beni immobili spesso impedisce o rende assai più difficoltoso all’imprenditore il fido bancario”.


 
I «supersemplificati» sono soggetti agli studi di settore L’adeguamento ai ricavi o compensi sulla base degli studi, però, non rileva ai fini del limite relativo a ricavi e compensi percepiti .
Il provvedimento direttoriale n. 185825/2011 (§ 5) si occupa di disciplinare le semplificazioni contabili previste per i soggetti ammessi al regime supersemplificato, di cui al comma 3 dell’art. 27 del DL n. 98/2011, confermando già quanto contenuto nella predetta disposizione normativa. Si ricorda che tale regime è meglio conosciuto come regime degli “ex minimi”, in quanto trattasi di un regime che, in linea generale, accoglie coloro che hanno i requisiti dei “vecchi” minimi (art. 1, commi 96 e 99 della L. n. 244/2007), ma non anche quelli “aggiunti” dall’art. 27, commi 1 e 2 del DL n. 98/2011.

Nell’ambito delle semplificazioni, è da segnalare l’esonero dagli obblighi di registrazione e tenuta delle scritture contabili ai fini delle imposte sui redditi, nonché ai fini IRAP e IVA e, per tale tributo, l’esonero dall’obbligo di eseguire le liquidazioni ed i versamenti periodici. In buona sostanza, ai fini IVA, si rendono applicabili le medesime regole già previste per i contribuenti che fruiscono del regime delle nuove iniziative produttive, di cui all’art. 13 della L. n. 388/2000, con conseguente versamento dell’IVA annualmente, come indicato nello stesso provvedimento direttoriale (§ 5.2, lett. e).

Per quanto riguarda gli obblighi documentali, l’Agenzia delle Entrate conferma l’obbligo di conservazione dei documenti ricevuti ed emessi, nonché l’obbligo di emissione della fattura e di certificazione dei corrispettivi, a meno che non sussista una causa di esonero.

Sul fronte degli obblighi dichiarativi e comunicativi, pochi sono gli “sconti” concessi a tali contribuenti, in quanto l’unica esclusione concerne la dichiarazione annuale IRAP, in quanto tali soggetti sono esenti da tale tributo, fero restando l’obbligo di presentazione delle dichiarazioni annuali ai fini delle imposte sui redditi e dell’IVA. Sul punto, si segnala altresì l’obbligo di presentazione della comunicazione di cui all’art. 21 del DL n. 78/2010 (cosiddetto “spesometro”), nonché l’obbligo di presentazione della comunicazione delle operazioni intercorse con soggetti “black list”, di cui all’art. 1 del DL n. 40/2010.

La precisazione più attesa dai contribuenti è contenuta nel punto 6 del provvedimento direttoriale, laddove si precisa che i contribuenti che applicano il regime supersemplificato sono soggetti agli studi di settore, ovvero ai parametri, e sono tenuti alla compilazione del modello per la comunicazione dei relativi dati.
Tuttavia, precisa il punto 6.2 del provvedimento, “ai fini dell’individuazione del limite relativo all’ammontare dei ricavi conseguiti e dei compensi percepiti (...) non rileva l’adeguamento ai ricavi o compensi determinati sulla base degli studi di settore o dei parametri”. Ricordando che il regime supersemplificato richiede il rispetto del limite di 30.000 euro per ricavi o compensi annuali, tale ultima disposizione comporta che un soggetto che dichiara 28.000 euro di ricavi per l’anno 2012, ma per effetto dell’adeguamento a GE.RI.CO. i ricavi si innalzano a 32.000 euro, può restare nel regime supersemplificato anche per l’anno successivo, in quanto i maggiori ricavi da adeguamento (4.000 euro), pur comportando lo “splafonamento” del limite di euro 30.000, non sono rilevanti nell’individuazione del limite di 30.000 euro.

Difficile individuare una vera semplificazione per i contribuenti Dalla lettura delle disposizioni commentate, emergono alcune considerazioni critiche, in particolare per quel che concerne gli obblighi contabili previsti per tali soggetti, i quali, come visto, sono di fatto esonerati da tutti gli obblighi di registrazione e di tenuta delle scritture contabili, salvo poi dover comunque procedere alla liquidazione annuale dell’IVA, alla determinazione del reddito d’impresa o di lavoro autonomo, con obbligo di dichiarazione, ed alla compilazione dei dati rilevanti per l’applicazione degli studi di settore. Ci si chiede, quindi, come poter procedere alla liquidazione dell’IVA, sia pure annualmente, ovvero come compilare i quadri delle dichiarazioni dei redditi e degli studi di settore, senza aver alcun obbligo contabile, salvo quello di emissione delle fatture e di certificazione dei corrispettivi.

Sembra, ancora una volta, di assistere al classico “specchietto per le allodole”, nel quale è tuttavia difficile individuare una vera semplificazione per i contribuenti che dal 2012 si avvalgono del regime supersemplificato.